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La valutazione passa dal merito

di Micol Fornaroli * e Daniela Scaramuccia *

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Venerdí 06 Marzo 2009

Che la rappresentanza delle donne ai vertici delle imprese italiane sia bassa è un fatto noto: la cosiddetta leadership femminile vale un misero 4% e ci posiziona in coda alla classifica europea, staccati anche da Bulgaria e Romania (12% ciascuna). Un'evidenza come questa non può che aprire una riflessione sul valore effettivo della meritocrazia e su quanto i criteri di valutazione dei talenti femminili nelle imprese siano oggettivi e gender neutral.

E proprio al tema del merito - riferito alle lavoratrici, alle imprenditrici, alle operatrici del sociale e in seno alla famiglia - è dedicata la cerimonia di domani al Quirinale per la Giornata internazionale della donna dell'8 marzo (si veda la scheda a destra), con l'atteso discorso del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sulla condizione femminile nel nostro Paese. Una condizione ben lontana, in Italia, dalla realizzazione completa delle pari opportunità nel corso della carriera e in particolare nelle posizioni di vertice nelle istituzioni e nelle imprese.

Ma perché una maggiore rappresentanza di donne ai vertici è importante non solo per i Paesi ma anche per le aziende? La nostra ricerca «Women Matter», condotta su oltre 100 società quotate, dimostra che sostenere la diversità di genere ai vertici è un fattore critico di successo per le aziende, e che tali politiche saranno sempre più necessarie per affrontare le sfide del futuro. Dallo studio emerge infatti che le aziende con una maggiore presenza femminile ai vertici hanno un'organizzazione più efficace e migliori performance. In altre parole, in presenza di un board con almeno il 30% di donne, l'efficacia dell'organizzazione aziendale cresce su tutte le dimensioni: coordinamento e controllo, indirizzo, leadership, motivazione, innovazione. Non solo, le aziende più aperte alle donne registrano anche risultati superiori alla media di settore in termini gestionali e finanziari (Roe ed Ebit).

Come accrescere quindi la presenza di donne ai vertici delle imprese, considerato il potenziale economico associato? Come assicurare che il valore della diversità di genere sia colto appieno? Quanto conta la meritocrazia in tutto questo?

La soluzione risiede, a nostro parere, in un insieme di fattori. Singoli interventi, seppure importanti, non bastano. Ad esempio, se c'è una sostanziale correlazione tra le ore lavorate e la presenza di donne nel top management, non è dimostrato che un tasso d'occupazione femminile elevato abbia impatto sulla crescita professionale delle donne. Da sole non bastano nemmeno le politiche di sostegno alla famiglia, se è vero che in Paesi come la Francia la rappresentanza femminile è sotto la media europea. Analogamente, la realtà inglese evidenzia come politiche innovative per la parità non siano di per sé sufficienti.

Aumentare la presenza di donne ai vertici è un percorso che richiede l'attivazione di più leve e la mobilitazione, possibilmente orchestrata, di aziende e istituzioni. Il primo passo è, senza dubbio, l'applicazione di un processo di gestione delle risorse umane strutturato, trasparente, fondato sulla meritocrazia e che consenta ai talenti femminili di partecipare appieno alla vita dell'impresa. Quattro sono, a nostro avviso, gli ingredienti per riuscire.

Le aziende dovrebbero dotarsi di sistemi di misura e monitoraggio degli indicatori di gender diversity. Tra questi, la rappresentanza femminile nelle diverse funzioni e livelli della struttura (dal Cda in giù), gli avanzamenti di carriera e la retribuzione media per genere, il grado di soddisfazione delle donne. Senza diagnosi e senza bussola è difficile portare avanti un cambiamento.

È fondamentale che i sistemi di valutazione delle risorse eliminino eventuali differenze di genere e si concentrino su potenziale e risultati. Quanto incide il genere nell'identificazione dei cosiddetti "alti potenziali"? Quante donne fanno parte dei pool di candidati nei processi di selezione?

I programmi di flessibilità e le strutture di supporto. Oggi le donne continuano a svolgere il cosiddetto "doppio lavoro" e in Italia il fenomeno è sconcertante: 5 ore e 20 minuti al giorno (rispetto all'ora e 35 minuti dell'uomo) sono mediamente dedicate a questioni domestiche o familiari. Sebbene lo scarto si riduca a livello europeo (4 ore e 29 minuti le donne, e 2 ore e 18 minuti gli uomini), il risultato è che le donne che riescono ad accedere ai vertici aziendali pagano un prezzo molto elevato: solo l'11% ha figli contro il 53% degli uomini. Per sostenere lo sviluppo della diversità di genere si rende quindi necessario superare il modello aziendale "anytime, anywhere" e introdurre politiche di flessibilità e strutture di supporto (ad esempio asili) che consentano alle aziende di trattenere e fare crescere i talenti e alle donne di poter partecipare alla vita lavorativa ad armi pari.

Bisogna promuovere iniziative che facilitino il superamento delle barriere culturali; mentorship e networking tra aziende sono programmi che in altri Paesi hanno aiutato le donne ad assumere posizioni di leadership nelle imprese, rafforzandone il "potere negoziale". Iniziative forse ovvie ma ancora diffuse pochissimo nel panorama delle imprese italiane.
* McKinsey & Company

Venerdí 06 Marzo 2009
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